martedì 13 ottobre 2015

Piccoli musei crescono

Si sente spesso dire da più parti che per uscire fuori da una situazione di stallo economico e occupazionale è necessario  “fare rete” per “fare sistema”. Tradotto in parole semplici significa che bisogna unirsi per essere più forti, condividere per scambiare informazioni ed esperienze, promuovere per essere competitivi in un qualsiasi mercato. 
La ricetta può essere applicata in vari ambiti, ad imprese e aziende, a gestori di servizi e, in questo caso, anche ad un gruppo di piccoli musei. Sono tanti in Italia i piccoli musei e non può che essere così, malgrado tutta la promozione del patrimonio culturale italiano sembra passare solo attraverso quei mostri sacri (benevolmente parlando) che si chiamano Galleria degli Uffizi o Musei Vaticani, ad esempio. 
Ma l''Italia è anche particolarmente dotata di  specificità territoriali, di storia e arte, di capolavori e tesori nascosti che possono competere con i grandi protagonisti del patrimonio culturale se uniscono  e integrano le loro forze.  

IL SI.MU.LA.BO
Non è un quiz, non è un gioco o un libro, non è nemmeno una parola magica.
SI.MU.LA.BO è l’acronimo per SIstema MUseale del Lago di Bolsena: una rete di piccoli, interessantissimi musei, tutti perfettamente integrati nel territorio perché sono e rappresentano il territorio.
Il Sistema è stato istituito nel 2000 con una convenzione stipulata tra i comuni del Comprensorio Lacustre, la Regione Lazio e la Provincia di Viterbo. La rete museale, che vede come capofila Bolsena con il Museo Territoriale del Lago di Bolsena,  conta attualmente 13 musei dislocati nella parte alta della provincia di Viterbo.
L’ampia offerta culturale, affiancata a quella didattica e formativa,  introduce ad uno dei più ricchi territori dell’Italia ed ogni museo, con i suoi percorsi di visita ed il racconto della storia del luogo, si trova ad essere parte integrante  del territorio da cui provengono i reperti esposti o è direttamente  inserito all’interno di un parco. 
I musei del SI.MU.LA.BO sono musei territoriali, naturalistici, archeologici, storico-artistici, demo-etno-antropologici e mostrano ciò che è la natura dei luoghi e la varia umanità che, in quei luoghi,  è passata nel corso di millenni.  

Il “giro” del SI.MU.LA-BO
Essendo più o meno situati intorno alla caldera del Lago di Bolsena, basta prendere una vecchia e antiquata mappa cartacea per localizzarli e fare un bel giro a tappe intorno al lago
  
Punto di Partenza
Bolsena
Museo Territoriale del Lago di Bolsena  e Acquario – Rocca Monaldeschi della Cervara
(da non dimenticare anche l'interessante sezione distaccata di Palazzo Monaldeschi)
Civita di Bagnoregio
Museo Geologico e delle Frane – Palazzo Alemanni
Lubriano
Museo Naturalistico – Ex Casa Padella
Acquapendente
Museo del Fiore – Casale Giardino
Museo della Città – Palazzo Vescovile
Grotte di Castro
Museo Civico  e delle Tradizioni Popolari– Palazzo del Vignola
Gradoli
Museo del Costume Farnesiano – Palazzo Farnese
Latera
Museo della Terra – Grancia di S. Pietro
Valentano
Museo della Preistoria della Tuscia e della Rocca Farnese – Rocca Farnese
Farnese
Museo Civico “F. Rittatore Vonwiller” – Magazzini dell’Ammasso
Ischia di Castro
Museo Civico Archeologico “Pietro e Turiddo Lotti” – Istituto Scolastico
Cellere
Museo del Brigantaggio 
Punto di arrivo
Montefiascone
Museo dell’Architettura di Antonio da Sangallo il Giovane - Rocca dei Papi

 Le schede dei singoli musei sono consultabili su  www.simulabo.it



©tutti i diritti riservati
  

domenica 12 luglio 2015

Un'altra storia, un'altra festa. Cristina di Bolsena

Ogni anno, il 23 e il 24 luglio, si rinnova a Bolsena la Festa di Santa Cristina che rievoca, attraverso i “Misteri”, il martirio subito dalla santa patrona.
In genere questo è il modo consueto di iniziare a spiegare questa festa che non è solo la rievocazione di una tradizione fondata su un atto di fede, ma è anche la messa in scena della lotta tra fede e politica, tra bene e male, storia e leggenda, sacro e profano.
Benedetto Buglioni (XV secolo) - Santa Cristina

Cristina 
Una bambina, figlia di un prefetto, si fa battezzare; perseguitata dal padre e da altri aguzzini, subisce le torture più crudeli diventando una delle tante vittime delle persecuzioni contro i cristiani attuate dall’imperatore Diocleziano nel IV secolo.
Di lei sappiamo che era di Volsinii, la Bolsena romana, e non della fantomatica di Tiro d’Etruria (l'inesistente città sorta dal gusto ottocentesco di collegare mitici luoghi a mitici personaggi); la conosciamo con il nome di Cristina, semplicemente perché seguace di Cristo; e sappiamo che prima di diventare santa martire della Chiesa era una sorta di dea.
Fino al IV secolo, infatti, a Bolsena sono presenti iscrizioni che devotamente citano Norzia, la divinità pagana protettrice della città. La comparsa di Cristina e la sua forza sembrano spingere la popolazione locale ad operare una sorta di sostituzione con nuove invocazioni di protezione.
Venerata come una dea e pregata come una santa, Cristina diventa l’emblema della comunità cristiana di Bolsena e della stessa città, incarnando con il suo atto di ribellione e di fede  lo spirito religioso del luogo e, perché no, anche quello ribelle dei suoi abitanti.
Cristina, sepolta in un semplice loculo della catacomba e divenuta santa, vedrà costruire intorno a sé un piccolo santuario martiriale e una grande chiesa a lei dedicata, assisterà al compiersi del Miracolo Eucaristico e guarderà, forse un po’ stupita, i Misteri per lei celebrati.

I Misteri
Lontano dal mondo pagano e mutuati dalla religione cristiana, i Misteri appaiono (o riappaiono) nel Medio Evo, nel momento in cui la Chiesa deve riaffermare il proprio controllo sugli stati nascenti e  sui popoli. Dopo il passaggio dei barbari, il latino, la lingua ufficiale dell’Impero che aveva unificato l’Italia, è diventata una lingua colta, parlata, scritta e capita solo dagli ecclesiastici e dai ricchi nobili, non più dalla moltitudine delle persone comuni. Per ricondurre a sé i fedeli e per farsi comprendere, il Clero avvicina la parola all’immagine: un affresco con scene della vita di Gesù o di qualche  santo martire è il modo più immediato per raggiungere l’obiettivo e stimolare il sentimento religioso delle popolazioni. Le rappresentazioni sacre, cioè i Misteri, non sono altro che una narrazione drammatica personale (vita di Gesù e vita dei santi martiri) resa collettiva: un monito che obbliga tutti a seguire i precetti che condurranno alla salvezza ed alla vita eterna.

La Festa di Santa Cristina 
Ogni anno, il 23 e il 24 luglio, si rinnova a Bolsena la Festa di Santa Cristina che rievoca, attraverso i “Misteri”, il martirio subito dalla santa patrona. 
Misteri di S.Cristina - I Serpenti
5 diversi Misteri la sera del 23 luglio; 5 diversi Misteri la mattina del 24, giorno della santa come da calendario.
5 piazze di Bolsena in cui vengono allestiti 5 palchi come piccoli teatri all’aperto, con tanto di personaggi in costume (attori-non attori), quinte, scenografie, sipario.
Il sipario si apre alla passaggio della processione con la statua della santa; sui palchi, persone-personaggi in pose plastiche, sono silenziosi e immobili, fissi come statue per compiere un atto formale: la cristallizzazione dell’evento con la tortura e il martirio di una bambina.
Si distinguono iconiche figure: al centro la bambina-dea-santa, in un lato i patrizi-torturatori-pagani, nell’altro i plebei-seguaci-cristiani.
Nella staticità delle pose plastiche dei Misteri, il movimento è concesso solo alla personificazione del male messa in scena nel Mistero dei Diavoli e, in modo meno evidente, nel Mistero dei Serpenti dove l’aguzzino tenta di far mordere la santa da serpenti velenosi ma viene morso lui stesso e cade a terra morto.
Nelle disposizioni sulla scena e nell’azione-non azione, si intravede la contrapposizione tra i diversi schieramenti, la lotta tra il bene e il male, la salvezza e  il trionfo della fede.
Alla fine della  rappresentazione, il 24 luglio, la processione riconduce la Santa nella sua casa, nella sua chiesa e presso la sua tomba, da dove il giorno prima era uscita per rivivere e perpetuare  le torture subite (il male) in nome della fede (il bene) e per rinascere come puro spirito (vita eterna).

Sipario
Tutto si è compiuto in una vorticosa visione di narrazioni di torture  con gli attori-non attori che non smettono di essere  personaggi, tanto che al termine dei Misteri alcuni non esitano a scendere dal palco con i costumi di scena. Qualche ragazza, forse l’interprete della santa, cammina tra gli spettatori indossando i serpenti come collane viventi e si fa fotografare con i suoi trofei, che poco dopo saranno lasciati liberi, inconsapevole di essere ancora parte di una rappresentazione tra il sacro e il profano che questa volta si svolge su un altro piano di narrazione: tra la folla dove non c’è un palco, non c’è una scenografia, non c’è staticità e soprattutto non c’è sipario.

Giovan Francesco D'Avanzarano (XV secolo)
Santa Cristina - particolare d'affresco




                                                                           ©tutti i diritti riservati
                                                                          


BOLSENA
RAPPRESENTAZIONE DEI MISTERI DI SANTA CRISTINA
23 luglio-ore 22
P.zza S. Cristina: La Ruota // P.zza Matteotti: La Fornace// P.zza San Rocco: Le Carceri// P.zza San Giovanni: Il lago // P.zza Monaldeschi (Castello): I Demoni

24 luglio-ore 10
P.zza Monaldeschi (Castello):Il Battesimo// P.zza San Giovanni: I Serpenti // P.zza San Rocco: Il taglio della lingua // P.zza Matteotti: Le frecce // P.zza S. Cristina: La gloria


Il progrmma dei Misteri potrebbe subire variazioni













domenica 24 maggio 2015

Floralia, Bolsena e le Infiorate del Corpus Domini

Floralia
Bolsena - Processione del Corpus Domini 
La natura è rigogliosa e generosa nel regno di Floralia dove, fin dai tempi più remoti, petali di fiori profumati e foglie lucide erano lanciati al passaggio di una processione in onore di una divinità. Cadendo a terra,  fiori e foglie formavano un tappeto colorato che poteva essere calpestato dai sacerdoti che officiavano il culto, poi da coloro che a spalla trasportavano la statua del dio, ed infine dal corteo dei seguaci.
Nonostante molto tempo sia passato, nulla sembra essere cambiato a Floralia se non la prospettiva religiosa, tanto che alcune cerimonie si celebrano ancora  con le stesse usanze: un tappeto di fiori e foglie chiamato “infiorata” a coprire il manto stradale, una processione che passa, vescovo e sacerdoti che calpestano le composizioni floreali e gli addetti al trasporto, a spalla,  di una pietra sacra macchiata di rosso, rosso come il sangue di un prodigio.

Bolsena e le infiorate del Corpus Domini
A Bolsena, la città del miracolo eucaristico avvenuto nel 1263 a seguito del quale fu istituita la festività del Corpus Domini, le infiorate sono sempre state presenti fin dalla prima processione eucaristica, quando clero e popolazione provvedevano secondo proprie possibilità e disponibilità. 
La processione e le infiorate assumono le caratteristiche attuali solo nel 1811.
All’epoca il paese era occupato dalle truppe francesi che avrebbero voluto entrare in città: l’accesso fu negato e restare accampati allo scoperto, fuori le mura, fu cosa poco gradita ai soldati che sfidarono  le autorità locali minacciando la distruzione dell’intera  Chiesa di Santa Cristina, simbolo massimo della religiosità di Bolsena.
Naturalmente i bolsenesi si prepararono allo scontro, ma l’intervento provvidenziale di P.Francesco Cozza  fu risolutivo per placare gli animi bellicosi. Fu deciso che quell’anno l’infiorata del Corpus Domini sarebbe stata realizzata “su un percorso ricoperto completamente di fiori e con enorme concorso di popolo” e che una delle “Sacre Pietre” dell’altare in cui avvenne il  miracolo eucaristico sarebbe stata portata in processione per le vie dell’intero paese, senza aspettare il regolare permesso del vescovo.
A dispetto delle ire di quest’ultimo, fu un successo su tutti i fronti: i francesi assistettero alla cerimonia vedendo sfilare un corteo lungo un percorso di tre chilometri con la popolazione impegnata per giorni in un atto di pura devozione.

Infioratori devoti
Sono colti da una specie di follia creativa collettiva gli Infioratori che almeno due mesi prima della Festa del Corpus Domini segnata sul calendario, iniziano a sviluppare il soggetto del quadro di fiori da realizzare: prima il bozzetto, poi la tipografia che lo sviluppa a grandezza reale, quindi la scelta dei fiori in base ai colori.
Fiori, il problema degli ultimi anni: a seconda della data in cui cade la festa, si rischia di non trovare le infiorescenze giuste, troppo presto o troppo tardi per alcune varietà. Complice la comodità di un ordine da un vivaista-grossista si tampona il problema della scarsità di fiori, ma non lo si risolve. Per mantenere viva la tradizione e proseguire l’opera devozionale, sarebbe necessario considerare tutti i gruppi che si sono formati col tempo, territoriali quanto basta per realizzare un tratto di infiorata, come un’unica grande istituzione da proteggere per tutelare l’intera tradizione dell’infiorata.

Così gli Infioratori arrivano al giorno della festa già un po’affaticati da riunioni in cui il conto dei fiori ordinati non torna, dopo essere andati "a fare i fiori" cercandoli anche nelle campagne vicine e perfino in montagna, dopo aver passato giorni a “sfiorare” prima le foglie (una per una sono separate dal ramo) poi i fiori (uno per uno i petali sono tolti dallo stelo) dividendoli per tipo, per colore, perfino per sfumature, in scatoloni che vengono conservati al fresco.
Il giorno del Corpus Domini si inizia la mattina con lo stendere il disegno sulla strada, cominciando subito a realizzare bordi e contorni,  per poi passare alla disposizione di fiori e foglie, integrati con semi  e spighe secondo necessità di composizione.
Si va avanti così dal mattino al pomeriggio, ininterrottamente, sotto il sole cocente,  sull’asfalto e sulle pietre, in strade larghe o strette, in salita o in discesa, sporcandosi mani-piedi-vestiti, faticando e sudando, consapevoli che tutto il lavoro svolto verrà dissolto in pochi attimi dal passaggio della processione che calpesterà quel tappeto colorato e profumato costato  tanto impegno, tanta fatica e un’infinita pazienza.

Infiorata 2010 - Particolare (Associazione Opera dei Fiori)
Bolsena 
 Città del Miracolo Eucaristico
Festività del Corpus Domini  
Infiorate dalla mattina al pomeriggio
Processione ore 18:00
Percorso della processione 
Basilica di Santa Cristina- Via Porta Romana- Via IV Novembre- Via Cassia- Piazza Matteotti- Via Orvietana- Chiesa SS.Salvatore- Via degli Adami- Via de’ Medici-Via F.Cozza- Via Porta Fiorentina- Piazza San Rocco- Corso Cavour- Piazza Matteotti- Corso della Repubblica- Basilica di Santa Cristina 


                                                               ©tutti i diritti riservati

domenica 3 maggio 2015

Collezioni private

Il più grande lago vulcanico d’Europa, quasi circolare,  profondo 151 metri, di un intenso colore blu, ma mutevole d’umore; un lago che ha le sèsse, i bròntidi, sorgenti termali e minerali; un lago così si è preso il lusso di creare, dai resti di piccoli coni vulcanici, due isole che parlano una lingua particolare: in qualsiasi modo voi le vediate, non aspettatevi la perfezione formale. Qui siamo persi in terra vulcanica. 

L’isola Bisentina è un gioiello naturalistico, storico e artistico che si trova nelle limpide acque del Lago di Bolsena. E’ un’isola che alterna zone boscose a zone pianeggianti, dove è stato possibile fin dall’antichità coltivare la terra per provvedere al sostentamento delle piccole comunità che lì si erano stabilite.
Nel Medio Evo, l’isola fu annessa al Patrimonio di San Pietro in Tuscia per volere di papa Urbano IV che proprio qui creò quel tristemente famoso carcere a vita per ecclesiastici eretici conosciuto come “la malta” dell’isola Bisentina.
Durante il Rinascimento, l’isola divenne possedimento della nobile casata dei Farnese che ne fece una sede papale estiva, luogo ameno per ospiti d’eccezione come i papi di Roma e la loro corte.
Nel corso del XV e XVI secolo sull’isola Bisentina furono costruiti un convento, un chiostro, sette oratori e una grande chiesa dedicata ai SS. Giacomo e Cristoforo, realizzata su progetto del Vignola. Ad Antonio da Sangallo il Giovane sono invece attribuiti il chiostro e l’Oratorio di Santa Caterina. Pregevoli sono gli affreschi della Quattrocentesca Cappella della Crocefissione, attribuiti Benozzo Gozzoli ed alla sua scuola.
L’isola è di proprietà privata ed attualmente non è aperta pubblico.


L’isola Martana si trova a poco più di 2 Km. dal piccolo paese di Marta, da cui prende il nome. La sua forma a mezza luna ne mostra anche i suoi aspetti più contrastanti: quello di scoglio tufaceo piuttosto arido con pareti a strapiombo sul lago e quello più gentile formato da una piccola pianura ricoperta di vegetazione, dove sorge un giardino e una villetta dei primi anni del 1900.
Quest’isola è legata al nome di Amalasunta, regina dei Goti. Allontanata dalla corte di Ravenna, fu rinchiusa nell’alta torre dell’isola Martana e qui strangolata per volere del cugino Teodato, che così si impossessò del regno. Si dice anche che proprio su quest’isola Teodato nascose il suo immenso tesoro, che però nessuno ha ancora trovato.
In epoche antecedenti, anche un’altra figura femminile fu qui relegata: la giovane Cristina, santa martire e patrona di Bolsena. Dopo la sua morte, le reliquie furono traslate in quest’isola per preservarle dalle razzie dei barbari. E sempre nel Medio Evo, l’isola Martana divenne un piccolo borgo abitato da contadini e pescatori tanto da avere un proprio sigillo, la cui impronta è conservata nella Collezione Sforza di Firenze. Il sigillo recava la scritta “Sigillum Comuni Insula Martana”.
L’isola Martana è attualmente proprietà privata non aperta al pubblico.

Nonostante entrambe le isole non siano accessibili, un mini-tour in battello con le locali compagnie di navigazione, costeggiando il perimetro insulare, vale quanto una visita al loro interno.

                                                           ©tutti i diritti riservati
                                                                             


domenica 15 marzo 2015

Tracce leggendarie

Narra una leggenda che una divinità arcaica avesse edificato il suo tempio in luogo sacro vicino al lago e che avesse proibito ai suoi sacerdoti di celebrare riti e sacrifici nei giorni infausti. Purtroppo alcuni sacerdoti non seguirono il volere divino e fu così che il tempio fu profanato e alcune vestali uccise. L’ira della divinità fu talmente violenta che una serie di fulmini distruttivi si abbatté sul tempio e sulla città vicina. Ma una fanciulla coraggiosa, per salvare tutte le persone innocenti, fece voto di immolarsi al dio e si spinse fino all’acqua del lago per immergervisi e morire. Il dio fu impressionato dal sacrificio spontaneo della fanciulla che fu salvata da un fulmine che, trasformatosi in pietra, le impedì di affogare. Il dio, còlto da pietà, aveva nel frattempo placato la sua ira e trasformato ogni saetta scagliata sul tempio e sulla città in una serie di pietre che si erano conficcate nel terreno. La calma era ritornata ma da allora i riti furono officiati seguendo regole estremamente scrupolose e ferree, nessun sacrificio umano fu più permesso nella città, ed il tempio distrutto non fu più ricostruito. La fanciulla fu riconosciuta da tutti come unica vestale del dio, ma non avendo più un tempio si ritirò in una vicina grotta sacra, posta tra la vegetazione e le acque del lago.
A testimonianza dell’accaduto rimasero solo pietre, le pietre lanciate. 


Basalto colonnare in località Pietre Lanciate - Bolsena 

Nella tradizione locale, il luogo in cui si svolsero i fatti leggendari si chiama Pietre Lanciate e si trova a qualche chilometro a sud di Bolsena, lungo il percorso della Via Cassia.
Si tratta di una collina che certamente per gli antichi doveva essere considerata una sorta di “montagna sacra” vista la sua particolare conformazione rocciosa di basalto colonnare.
Le rocce di basalto colonnare, sono una testimonianza di vulcani spenti o di una intensa attività vulcanica sottomarina che, a seguito di eventi tettonici, è emersa in superficie.
La loro conformazione è dovuta al magma venuto in contatto con l’acqua che ha fatto assumere alla roccia stessa una forma di colonna pentagonale o esagonale. In alcuni casi le cosiddette “testate” dei basalti colonnari non sono lisce, ma presentano una superficie ruvida a causa di conformazioni vetrose dette “vulcaniti”. Queste ultime si chiamano pillows (cuscini) e sono strettamente collegate alla formazione del basalto. I pillows, all’origine, erano delle fessurazioni causate dal contatto dell’acqua con il magma e costituivano il canale di fuoriuscita del magma stesso in modo tale che si potessero formare strutture globulari o ellissoidali che si spaccavano di nuovo per creare altri pillows.(2)

Certamente gli antichi non sapevano dare una spiegazione tecnico-scientifica alle rocce di questo tipo, ma sapevano cogliere lo stretto rapporto che queste rocce avevano con l’ignoto, che diventava manifestazione divina. Percepivano una reminescenza con lo spirito tellurico del luogo, stabilivano il confine tra il dio e l’uomo, regolavano con divieti il superamento di quel confine, ponendo in primo piano il rispetto sia per il divino che per l’umano che in quella natura dimoravano.  

In questa leggenda si potrebbe anche cogliere un aspetto della religiosità locale, un momento di passaggio tra culto pagano e culto cristiano. Nel IV secolo d.C. l’emblema del sacro è una fanciulla, che con il rito del battesimo nell’acqua abbracciò la fede cristiana, fu martirizzata e poi divenne Santa con il nome di Cristina, patrona di Bolsena. Sottoposta a varie torture, fu anche gettata nel lago con una pesante pietra legata al collo. La fede nel suo dio, cristiano stavolta, la salvò da morte certa: la pietra del supplizio non la trascinò nell’acqua profonda, ma la riportò a riva. Morì colpita al cuore da una freccia e da allora riposa nell’area delle Catacombe di Bolsena, in una Grotta che porta il suo nome.

Di leggende come questa ce ne sono ovviamente altre: tutte però hanno sempre la stesse caratteristiche di riferimento all’ambiente naturale, al divino, alla disubbidienza degli uomini alle  regole, all’ira del dio ed al sacrificio che un solo essere umano può compiere per salvare i suoi simili, la sua città, il tempio.
E quando le leggende mantengono aspetti simili è possibile che abbiano un legame comune con elementi reali, tangibili e un tempo visibili.       

“Eseguendosi i lavori per la costruzione di una fogna, che attraversa la via nazionale Bolsena- Montefiascone, in quel punto dove la nota roccia di pietra basaltica a parallelepipedi ottagonali porta, per una remota tradizione, il nome di Pietre lanciate, gli operai s'abbatterono
in un basamento di antico tempio...."

Il tempio naturalmente è disperso, invisibile, diventato quasi leggendario.
Ciò che resta è la natura del territorio che, pur restando immutata, entra prepotentemente tra i monumenti da vedere quando si sosta a Bolsena.
Infatti, la formazione di basalto colonnare delle “Pietre Lanciate” è tra i geositi censiti a livello nazionale dall’ ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale)e dall’APAT (Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici - in collaborazione con il Ministero dell’ Ambiente e della tutela del territorio e del mare, Regioni, Province, Comuni ed Istituti di ricerca. 
”I geositi sono elementi, zone o località di interesse geologico di rilevante valore naturalistico ed importanti testimoni della storia della Terra. Essi rendono “peculiari” i luoghi e le aree territoriali in cui sono inseriti per i loro specifici fattori fisici, morfologici, climatici e strutturali.” 
Le rocce di basalto colonnare si trovano in Sardegna e Sicilia; sono presenti in Islanda, in Irlanda, in India, Brasile, Stati Uniti, Sud Africa, Hawaii, nei fondali oceanici.


                                                                 ©tutti i diritti riservati

giovedì 29 gennaio 2015

Underwater, storie sommerse

Storie, racconti, leggende, mostri, fantasmi che vagano sulla superficie del lago: si potrebbe cominciare da qui per tracciare un itinerario insolito alla scoperta dei segreti custoditi dalla grande riserva d’acqua del lago di Bolsena.
Invece i segreti del lago non sono tali, alcune tracce del passato sono semplicemente nascoste underwater, sott’acqua. Sono sorprese che ogni tanto riemergono grazie ad un paziente lavoro di ricerca mista a  casualità e intutito.
I reperti recuperati negli anni sono diversi: un teschio dalla veneranda età di 3.500 anni, che non era il primo e non sarà nemmeno l’ultimo; due piroghe monoxile, ricavate cioè da un unico legno, un tronco scavato per far posto ad un uomo del XIII-XI secolo a.C; otri di terracotta; il carico di tegole di un’imbarcazione affondata (IV secolo a.C.); elmo e armi di epoca medioevale; ordigni bellici e pezzi di aerei americani e tedeschi della Seconda Guerra Mondiale.
Ogni ritrovamento racconta una storia a sé stante, compresa quella di un gruppo di ricerca subacquea che sfida le oscure, gelide e pericolose acque del lago andando a recuperare ciò che si trova sul fondo limaccioso, anche oltre i 100 metri di profondità. 

Reperti del Grancaro-Museo Territoriale del Lago di Bolsena
Onore al merito di chi fa ricerca archeologica in acqua, proseguendo il lavoro iniziato sul finire degli anni 1950 da un ingegnere  minerario con la passione per il lago, le immersioni e l’archeologia. L’ingegnere si chiamava Alessandro Fioravanti. Insieme ad alcuni amici con le sue stesse passioni, diede il via ad una ricerca che ancora non si è fermata e contribuì allo sviluppo dell’archeologia subacquea italiana.
Si stava cercando una strada con le rotate, grandi solchi lasciati dal passaggio di carri, di qui il nome dato al progetto di ricerca del “Gran Carro”. Visibile solo per un tratto sulla terra ferma, si supponeva che il percorso delle rotate continuasse in acqua. Ma come spesso accade, invece di trovare il proseguimento della strada, si scoprì altro. Sotto la superficie dell’acqua, prima fu individuata una singolare struttura in pietra, poi dei pali piantati sul fondale e infine frammenti  di cocci, tanti. Così tanti che si pensò subito ad un sito archeologico di grande importanza. Infatti, le ricerche sistematiche avviate a partire da quegli anni portarono alla scoperta di un villaggio villanoviano che, strano a dirsi, era situato in una località chiamata Grancaro, nome in forma dialettale per sottolineare la presenza dei granchi di lago.

Il villaggio del IX secolo a.C, ora sommerso, costituisce un frammento della millenaria storia delle popolazioni del bacino lacustre che, dovendo far fronte alle intemperanze del lago, seppero ovviare al problema dell’ innalzamento del livello delle acque elevando su palafitte le proprie capanne.
Erano fondamentalmente popolazioni dedite all’agricoltura, alla pesca e all’allevamento del bestiame; e come gli altri villanoviani d’Italia praticavano il rito funerario della cremazione, con la deposizione delle ceneri del defunto nelle particolari urne biconiche.

Sarà forse una concomitanza di cause, ma il villaggio villanoviano di Bolsena ha una singolarità che si ripete anche in altre aree sommerse con le stesse caratteristiche, variando nel caso solo le dimensioni.

Disegno ricostruttivo dell'aiola
Nel gergo locale, la singolare struttura in pietra, individuata sott'acqua durante le prime ricerche del Gran Carro, è detta “aiola”. Costruita dall’uomo,  è realizzata con pietre di varia grandezza, ha una forma ellittica con i diametri dalle ragguardevoli misure di 80m x 60m.
Una ulteriore particolarità dell’aiola è quella di imbrigliare, se così si può dire, una sorgente di acqua calda al suo interno.

Veduta aerea dell'aiola del Grancaro


In realtà sotto la superficie del lago sono 5 le aiole individuate, tutte con diametri di svariati metri, tutte con la presenza di una sorgente calda. A cosa servissero con esattezza le strutture in pietra denominate aiole, non è stato ancora chiarito.




Attualmente l’area del villaggio villanoviano del Grancaro è stata inserita nel progetto europeo SASMAP (Development of tools and techniques to survey, asses, stabilize, monitor and preserve underwater archaelogical sites) che ha come obiettivo lo sviluppo di nuove tecnologie, tecniche e pratiche per individuare, monitorare, salvaguardare e gestire il patrimonio culturale subacqueo europeo. Il progetto, a cui collabora l'ISCR (Istituto Superiore per la conservazione ed il restauro), vede anche la partecipazione del Centro Ricerche Archeologia Subacquea di Bolsena.


                                                           ©tutti i diritti riservati