giovedì 29 gennaio 2015

Underwater, storie sommerse

Storie, racconti, leggende, mostri, fantasmi che vagano sulla superficie del lago: si potrebbe cominciare da qui per tracciare un itinerario insolito alla scoperta dei segreti custoditi dalla grande riserva d’acqua del lago di Bolsena.
Invece i segreti del lago non sono tali, alcune tracce del passato sono semplicemente nascoste underwater, sott’acqua. Sono sorprese che ogni tanto riemergono grazie ad un paziente lavoro di ricerca mista a  casualità e intutito.
I reperti recuperati negli anni sono diversi: un teschio dalla veneranda età di 3.500 anni, che non era il primo e non sarà nemmeno l’ultimo; due piroghe monoxile, ricavate cioè da un unico legno, un tronco scavato per far posto ad un uomo del XIII-XI secolo a.C; otri di terracotta; il carico di tegole di un’imbarcazione affondata (IV secolo a.C.); elmo e armi di epoca medioevale; ordigni bellici e pezzi di aerei americani e tedeschi della Seconda Guerra Mondiale.
Ogni ritrovamento racconta una storia a sé stante, compresa quella di un gruppo di ricerca subacquea che sfida le oscure, gelide e pericolose acque del lago andando a recuperare ciò che si trova sul fondo limaccioso, anche oltre i 100 metri di profondità. 

Reperti del Grancaro-Museo Territoriale del Lago di Bolsena
Onore al merito di chi fa ricerca archeologica in acqua, proseguendo il lavoro iniziato sul finire degli anni 1950 da un ingegnere  minerario con la passione per il lago, le immersioni e l’archeologia. L’ingegnere si chiamava Alessandro Fioravanti. Insieme ad alcuni amici con le sue stesse passioni, diede il via ad una ricerca che ancora non si è fermata e contribuì allo sviluppo dell’archeologia subacquea italiana.
Si stava cercando una strada con le rotate, grandi solchi lasciati dal passaggio di carri, di qui il nome dato al progetto di ricerca del “Gran Carro”. Visibile solo per un tratto sulla terra ferma, si supponeva che il percorso delle rotate continuasse in acqua. Ma come spesso accade, invece di trovare il proseguimento della strada, si scoprì altro. Sotto la superficie dell’acqua, prima fu individuata una singolare struttura in pietra, poi dei pali piantati sul fondale e infine frammenti  di cocci, tanti. Così tanti che si pensò subito ad un sito archeologico di grande importanza. Infatti, le ricerche sistematiche avviate a partire da quegli anni portarono alla scoperta di un villaggio villanoviano che, strano a dirsi, era situato in una località chiamata Grancaro, nome in forma dialettale per sottolineare la presenza dei granchi di lago.

Il villaggio del IX secolo a.C, ora sommerso, costituisce un frammento della millenaria storia delle popolazioni del bacino lacustre che, dovendo far fronte alle intemperanze del lago, seppero ovviare al problema dell’ innalzamento del livello delle acque elevando su palafitte le proprie capanne.
Erano fondamentalmente popolazioni dedite all’agricoltura, alla pesca e all’allevamento del bestiame; e come gli altri villanoviani d’Italia praticavano il rito funerario della cremazione, con la deposizione delle ceneri del defunto nelle particolari urne biconiche.

Sarà forse una concomitanza di cause, ma il villaggio villanoviano di Bolsena ha una singolarità che si ripete anche in altre aree sommerse con le stesse caratteristiche, variando nel caso solo le dimensioni.

Disegno ricostruttivo dell'aiola
Nel gergo locale, la singolare struttura in pietra, individuata sott'acqua durante le prime ricerche del Gran Carro, è detta “aiola”. Costruita dall’uomo,  è realizzata con pietre di varia grandezza, ha una forma ellittica con i diametri dalle ragguardevoli misure di 80m x 60m.
Una ulteriore particolarità dell’aiola è quella di imbrigliare, se così si può dire, una sorgente di acqua calda al suo interno.

Veduta aerea dell'aiola del Grancaro


In realtà sotto la superficie del lago sono 5 le aiole individuate, tutte con diametri di svariati metri, tutte con la presenza di una sorgente calda. A cosa servissero con esattezza le strutture in pietra denominate aiole, non è stato ancora chiarito.




Attualmente l’area del villaggio villanoviano del Grancaro è stata inserita nel progetto europeo SASMAP (Development of tools and techniques to survey, asses, stabilize, monitor and preserve underwater archaelogical sites) che ha come obiettivo lo sviluppo di nuove tecnologie, tecniche e pratiche per individuare, monitorare, salvaguardare e gestire il patrimonio culturale subacqueo europeo. Il progetto, a cui collabora l'ISCR (Istituto Superiore per la conservazione ed il restauro), vede anche la partecipazione del Centro Ricerche Archeologia Subacquea di Bolsena.


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