domenica 14 dicembre 2014

La vocazione

Di tutti i paesi lacustri, Bolsena è quello forse più conosciuto, mèta turistica di tutto rispetto frequentata da turisti italiani e stranieri che la popolano soprattutto in estate soggiornando nelle tante strutture ricettive disponibili. Alberghi, agriturismi, B&B, campeggi rigorosamente posti in riva al lago, case vacanze: c’è tutto e anche di più, considerato che i posti letto per vacanzieri superano addirittura la popolazione locale residente, di poco oltre le 4.000 unità.

Da dove nasce questo piccolo primato locale, la cosiddetta “vocazione turistica” di Bolsena, la capacità di essere una mèta turistica?
Certamente la posizione geografica del paese sulla Via Cassia, a metà strada tra Roma e Siena, e la presenza del lago hanno da sempre favorito l’arrivo dei “forestieri” e hanno costretto gli abitanti, malgrado gli eventi storici, a confrontarsi con lo straniero.

Tralasciando le ville in posizione panoramica di facoltosi personaggi di Età Imperiale che soggiornavano nel luogo ameno; facendo riposare i pellegrini che camminavano sulla Via Francigena negli “ospitali”; mettendo in cantiere il battello a vapore che solcava le acque del lago in romantiche gite nell’800; si arriva senza accorgersene agli anni 1930, quando arrivarono i primi gruppi organizzati. Erano gruppi del dopolavoro che venivano a passare dei soggiorni a Bolsena, passeggiata e i bagni al lago, pernottamenti nei due alberghi del posto, il Manlio al centro storico e Da Amedeo vicino alla spiaggia ed al porto: le due scelte turisticamente valide per soddisfare la domanda e l’offerta turistica di quel tempo che non sembrava minimamente far pensare ad un imminente conflitto mondiale.

Qualche anno dopo la guerra e per ironia della sorte, i primi veri turisti furono i tedeschi, quelli  che evidentemente erano già stati a Bolsena, soldati che ritornarono senza divisa, armi o emblemi. Non volevano pensare al nemico che avevano pesantemente combattuto tra il 1943-1944, ma guardavano  piuttosto alla generosità della gente, che anni prima aveva fornito loro un pezzo di pane e un bicchiere di vino, forse più di un bicchiere.
Negli anni del boom economico italiano, scoprirono Bolsena altri tedeschi: alcuni in auto e altri in moto, vivevano “on the road”  accampandosi con le loro tende vicino alla spiaggia e suggerendo che si potevano creare ritrovi per chi come loro preferiva fare vita all’aria aperta.
Puntualmente Bolsena aprì i suoi primi campeggi e infoltì il numero di alberghi e pensioni, bar e ristoranti.
Passaparola e cartoline erano i mezzi pubblicitari di allora e, grazie a questi, l’estate bolsenese vide la comparsa di turisti provenienti non più solo dalla Germania, ma anche dall’Olanda e dalla Francia, e poi dal Belgio e dal Lussemburgo, gli altri stati dove  gli stessi bolsenesi erano andati a cercare lavoro.

E pensare che c’era poco e niente allora da vedere. Non c’era il Museo, le Catacombe non erano aperte, gli scavi archeologici dell’area romana erano appena all’inizio; le strutture ricettive erano ancora poche. Eppure i turisti c’erano. Che cosa attraeva così tanta gente negli anni 1960-1970?
Sicuramente l’aria, il lago, l’ospitalità e cordialità degli abitanti, il cibo, il prezzo del soggiorno estremamente abbordabile per chiunque, le feste paesane, il “dancing” in abito da sera e in riva al  lago.

In quegli anni gli appassionati di motori potevano ascoltare il rumore consolante dei motoscafi che per giorni e giorni partecipavano alle Gare Motonautiche, chiedere autografi ai  campioni italiani e mondiali di quello sport; la Sagra del Pesce e la Festa del turista erano altri momenti di aggregazione e convivialità tra gli ospiti stranieri e gli abitanti.
Negli anni seguenti, le gare motonautiche furono giustamente tolte dal cartellone dell’estate bolsenese, non attiravano più e poi era necessario pensare all’ambiente, alla salute del lago. Arrivarono le vele e la velocità silenziosa degli HobieCat, ma ci fu il naufragio anche di questo sport dopo qualche anno.
La Sagra del Pesce fu sospesa per non essere mai ripresa, esempio più unico che raro nell’Italia delle tradizioni popolari che guardano al prodotto tipico come un vanto.

Cash, cash, cash: vennero gli anni del profitto veloce, dell’incasso immediato e semplice da raggiungere omologandosi alle  mète vacanziere italiane più gettonate e di facile consumo.
Stagioni ricche e proficue, non c’è dubbio. Concerti, cinema, discoteca, divertimento, fine.
Soggiorni di durata sempre più breve, prezzi che sembravano più alti perché i servizi minimi prestati offrivano poca professionalità e accuratezza, chi parlava una lingua straniera era da contarsi sulle dita di una mano.
La domanda quasi trovò l’offerta esausta ed esaurita dallo stordimento degli anni 1980-1990, che si portò via i Francesi e i Belgi; imperterriti resistevano i tedeschi e gli olandesi, sempre gli stessi, tutti gli anni;  in loro compagnia erano gli italiani, prevalentemente “de Roma”.

Nel 2000, ecco l’Europa con la concorrenza agguerrita di località altamente competitive nel rapporto tra domanda-offerta/qualità-prezzo. Se la competizione e la contesa dei turisti riguardava l’Italia tutta, figuriamoci le località di provincia, i piccoli borghi come Bolsena.
Necessario era ancora una volta l’adeguamento, ma che fare: diventare una mèta d’elite o una méta da turismo di massa, senza avere le caratteristiche né dell’una né dell’altra?
Necessario era puntare su due aspetti fondamentali: il lago e  la rinomata ospitalità. E’ così che sono  rifioriti gli alberghi ed i campeggi, e fioriti i B&B e gli agriturismi.
La quantità di turisti presenti a Bolsena è rimasta nel tempo abbastanza costante grazie all’ospitalità, alla professionalità nel frattempo acquisita, alla maggiore attenzione all’ambiente naturale e lacustre, alle manifestazioni come ad esempio la Festa delle Ortensie  che si sono affiancate alle festività del Corpus Domini ed a quelle patronali, al quasi rinnovato cartellone dell’estate bolsenese che negli ultimi anni ha puntato anche sulla cultura.

Cultura: una parola complessa che racchiude tutto, anche l'umiltà. Dosata al punto giusto e con scelte giuste, potrebbe fare la differenza, partendo dal basso e  recuperando arti e mestieri, sagre sparite e fiere scomparse, riscoprendo storia, archeologia, arte, tradizioni, sempre rivolgendo lo sguardo al territorio.

La crisi globale, si è portata via il “target” medio che faceva numero; alcune manifestazioni languono e  vedono sempre meno la partecipazione di espositori o aziende, i fruitori non spendono.
La vocazione turistica, quella particolare abilità di cogliere il momento giusto e sterzare creando una nuova offerta per una nuova domanda, ha fatto un altro giro di boa: per un turismo piccolo, ci vogliono cose piccole. 
E' arrivato il mercatino di massa, proposto quasi ossessivamente in qualsiasi occasione: si spaccia per artigianato mercanzia di bassa qualità ad un prezzo altrettanto basso, oggetti che di artigianale non hanno nulla. Bisognerebbe capire che un turista che non compra non è necessariamente un turista senza soldi: forse li ha più di altri, ma non è interessato a ciò che gli viene offerto.
Le piccole soluzioni di questo tipo non hanno molto a che fare con la rinomata  “vocazione turistica” di Bolsena e, col tempo, possono diventare rischiose per le sorti turistiche del paese.

Il marketing insegna che nel momento in cui il turista chiede qualità ed incontra insufficienza, quel turista è perso per sempre.
Nel territorio, Bolsena ha prodotti eno-gastronomici di buona qualità; purtroppo sul territorio non ha una “cultura artigiana” per propria storia, non ha un tipico prodotto artigianale locale, quindi deve adattarsi ad accogliere l’artigianato altrui a patto che sia di qualità.
Si dovrebbe quindi puntare molto di più sulla qualità dei prodotti dell’artigianato e sulla produzione eno-gastronomica locale, dato che già si sta puntando molto ad uno standard qualitativo migliore nel commercio e sicuramente di qualità medio-alto nelle strutture ricettive.
Per non essere sconnessi, l'ennesimo passo da fare, seguendo la capacità camaleontica di adeguamento e trasformazione (elementi basilari della vocazione turistica), potrebbe essere proprio il recupero della "Cultura del Territorio" per trovare una formula diversificata, specifica, tipica, e soprattutto competitiva sul mercato turistico degli anni 2000.  


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