Storie, racconti, leggende, mostri, fantasmi che vagano
sulla superficie del lago: si potrebbe cominciare da qui per tracciare un
itinerario insolito alla scoperta dei segreti custoditi dalla grande
riserva d’acqua del lago di Bolsena.
Invece i segreti del lago non sono tali, alcune tracce del
passato sono semplicemente nascoste underwater, sott’acqua. Sono sorprese che
ogni tanto riemergono grazie ad un paziente lavoro di ricerca mista a casualità e intutito.
I reperti recuperati negli anni sono diversi: un teschio dalla veneranda età di 3.500 anni, che non era il
primo e non sarà nemmeno l’ultimo; due piroghe monoxile, ricavate cioè da un
unico legno, un tronco scavato per far posto ad un uomo del XIII-XI secolo a.C; otri di terracotta; il carico di tegole di un’imbarcazione affondata (IV
secolo a.C.); elmo e armi di epoca medioevale; ordigni bellici e pezzi di aerei americani e tedeschi della Seconda Guerra Mondiale.
Ogni ritrovamento racconta una storia a sé stante, compresa
quella di un gruppo di ricerca subacquea che sfida le oscure, gelide e
pericolose acque del lago andando a recuperare ciò che si trova sul fondo
limaccioso, anche oltre i 100 metri di profondità.
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Reperti del Grancaro-Museo Territoriale del Lago di Bolsena |
Onore al merito di chi fa ricerca archeologica in
acqua, proseguendo il lavoro iniziato sul finire degli anni 1950 da un
ingegnere minerario con la passione per
il lago, le immersioni e l’archeologia. L’ingegnere si chiamava Alessandro
Fioravanti. Insieme ad alcuni amici con le sue stesse passioni, diede il via ad
una ricerca che ancora non si è fermata e contribuì allo sviluppo
dell’archeologia subacquea italiana.
Si stava cercando una strada con le rotate, grandi solchi
lasciati dal passaggio di carri, di qui il nome dato al progetto di ricerca del “Gran Carro”. Visibile solo
per un tratto sulla terra ferma, si supponeva che il percorso delle rotate continuasse in acqua. Ma come spesso accade, invece di trovare il proseguimento della strada, si scoprì altro. Sotto la superficie dell’acqua, prima fu individuata una singolare
struttura in pietra, poi dei pali piantati sul fondale e infine frammenti di cocci, tanti. Così tanti che si pensò
subito ad un sito archeologico di grande importanza. Infatti, le ricerche sistematiche avviate a partire da quegli anni portarono alla scoperta di un villaggio
villanoviano che, strano a dirsi, era situato in una località chiamata Grancaro, nome in forma
dialettale per sottolineare la presenza dei granchi di lago.
Il villaggio del IX secolo a.C, ora sommerso, costituisce un
frammento della millenaria storia delle popolazioni del bacino lacustre che,
dovendo far fronte alle intemperanze del lago, seppero ovviare al problema
dell’ innalzamento del livello delle acque elevando su palafitte le proprie
capanne.
Erano fondamentalmente popolazioni dedite all’agricoltura,
alla pesca e all’allevamento del bestiame; e come gli altri villanoviani
d’Italia praticavano il rito funerario della cremazione, con la deposizione
delle ceneri del defunto nelle particolari urne biconiche.
Sarà forse una concomitanza di cause, ma il villaggio villanoviano di
Bolsena ha una singolarità che si ripete anche in altre aree sommerse con le stesse
caratteristiche, variando nel caso solo le dimensioni.
Nel gergo locale, la singolare struttura in pietra,
individuata sott'acqua durante le prime ricerche del Gran Carro, è detta “aiola”.
Costruita dall’uomo, è realizzata
con pietre di varia grandezza, ha una forma ellittica con i diametri dalle ragguardevoli
misure di 80m x 60m.
Una ulteriore particolarità dell’aiola è quella di
imbrigliare, se così si può dire, una sorgente di acqua calda al suo interno.
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Veduta aerea dell'aiola del Grancaro |
In realtà sotto la superficie del lago sono 5 le aiole
individuate, tutte con diametri di svariati metri, tutte con la presenza di una
sorgente calda. A cosa servissero con esattezza le strutture in pietra denominate aiole,
non è stato ancora chiarito.
Attualmente l’area del villaggio villanoviano del
Grancaro è stata inserita nel progetto europeo SASMAP (Development of tools and
techniques to survey, asses, stabilize, monitor and preserve underwater
archaelogical sites) che ha come obiettivo lo sviluppo di nuove tecnologie, tecniche e pratiche per individuare, monitorare, salvaguardare e gestire il patrimonio culturale subacqueo europeo. Il progetto, a cui collabora l'ISCR (Istituto Superiore per la conservazione ed il restauro), vede anche la partecipazione del Centro Ricerche Archeologia Subacquea di Bolsena.
©tutti i diritti riservati
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